mercoledì 31 ottobre 2012

Il FCCR Albano Laziale

Quando una realtà associativa diventa di tendenza

Testo di Fabrizio Cimini 


Ad un certo punto mi resi conto che non potevo brancolare nel buio come fotografo. MI serviva uno sbocco, un gruppo di amanti della fotografia. Trovai questa associazione, l'FCCR, acronimo di Foto Club Castelli Romani, che ancora non era quello che è oggi: un club di tendenza. Nasce nel lontano 1980 grazie ad un nucleo ristretto ma agguerrito di pionieri della fotografia. Cresce pian piano sia fotograficamente che culturalmente in un tessuto sociale associazionistico quale quello della FIAF. Le innumerevoli azioni intraprese vedranno l'FCCR radicato nei meandri dell'associazionismo nazionale. Le iniziative sono cospique fino al punto che il comune di Albano Laziale, in provincia di Roma, gli assegna un'encomiabile riconoscimento: "Associazione culturale di interesse cittadino". Negli anni il numero degli associati cresce, ma, come spesso succede, è un'alternaza tra alti e bassi valori numerici. Oggi conta tra le sue fila 33 fotografi attivi e, dopo 32 anni di attività, rischia di essere l'associazione più numerosa della regione Lazio. Con essa condivido momenti bellissimi, ricordi, discussioni, confronti, amicizia, crescita culturale e fotografica. Fare parte di un'associazione seria ed organizzata serve, perché ti aiuta a capire quanto effettivamente valgono le proprie foto e te stesso, quali sono i tuoi limiti senza peli sulla lingua, critiche nude e crude che ti portano in alto quando sono positive, ma che ti freddano quando sono negative. E' la vita associativa che plasma e regola. Dicevo quindi che scelsi questo mondo a cui fare parte, ed oggi non mi pento della scelta. Dunque, se tra i lettori di questo blog ce né qualcuno che ancora non ha intrapreso una scelta, consiglio vivamente di valutare la via associazionistica, perché aiuta a crescere e aiuta a diventare adulti in un mondo affascinante quale è quello dell'immagine.

Vi passo l'url dell'FCCR: http://www.fccr.it/index.php 

martedì 30 ottobre 2012

La foto e la sua dialettica

Il perché di uno scatto apparentemente banale

Foto di Fabrizio Cimini

La fotografia che vi propongo ha, nel suo linguaggio, una dialettica potente ed efficace. 

Mi trovavo sul posto con la mia reflex, un posto qualsiasi, non interessa ora quale. Avevo inserito il mio obiettivo standard, il 24/105 e andavo a caccia di immagini. La giornata era soleggiata e il sole era quasi a picco. Necessitavo allora del flash qualora mi capitava l'immagine adatta per schiarire le ombre. Svoltai l'angolo della strada e mi imbattei in questa scena. Due persone sedevano comodamente su una panchina che era posizionata vicino ad un negozio di un pittore che aveva esposto fuori le sue opere. L'immagine del quadro, a sinistra dei due signori, raffigurava due giovani fidanzatini spensierati, con lei sopra ad un asinello, credo, e lui che spasimava per lei. Una scena di estrema suggestione di un tempo che fu. Appena vidi quel quadro e quelle due persone anziane vicino, impulsivamente impugnai la reflex, misi il flash e lo regolai per la schiarita delle ombre. Inquadrai istintivamente la scena e, nel momento in cui intravedevo nel mirino, pensavo al messaggio che emanava la situazione: la contrapposizione giovani/anziani. La scena mostra però non solo questo contrasto, ma mi dava anche l'idea del ricordo, il loro ricordo di quando erano nel vigore della loro giovinezza. Poi, scoprii, mentre realizzavo la foto, che i signori anziani avevano i segni dell'età: lui con il respiratore dell'ossigeno e lei con il bastone. Altri elementi di rafforzamento sono la loro condizione: lui sembra avere uno atteggiamento di attesa, si guarda le mani laboriose di una vita di lavoro e fatiche ed ora ferme e usurate dal tempo, lei invece ha le calze un po dismesse, dovuto probabilmente al fatto che ella non ha più un'agilità che gli permette di potersele risistemare agevolmente. Si osserva infine lo sguardo di lei, che guarda direttamente in macchina e che da l'aggancio con la realtà della situazione e dona la percezione che l'immagine non è di quelle cosi dette "rubate". Infine la presenza degli animali che danno un'ulteriore aggancio con la vita passata e quella presente della coppia. Nel quadro si vede l'asinello, nel mentre, nella realtà, si percepisce la presenza di un cane che, anche se non si vede, si nota il guinzaglio in mano all'uomo. Questa doppiezza di situazioni permette all'osservatore dell'immagine, di scoprire effettivamente le note salienti, le assonanze e le assomiglianze. In definitiva è lo scorrere della vita, incessante e inarrestabile e che ci accomuna tutti, ma qui lo si percepisce in una maniera prorompente perché si possono osservare gli estremi della vita.



lunedì 29 ottobre 2012

Nikon F3, la scelta di uno stile

I perché di una scelta

Testo di Fabrizio Cimini

Ad un certo punto della mia vita da fotografo, percepii la necessità di avere un prodotto diverso, robusto e affidabile. Ero già un cliente Nikon, avevo acquistato da non molto un corpo macchina F801s fiammante, obiettivi nuovi e flash nuovi, ma mi serviva un corpo professionale, materico e la mia scelta era ovviamente Nikon F4s, l'ammiraglia per eccellenza. Il costo però era esorbitante. Allora mi rivolsi all'usato, ma scoprii con mio stupore, la solidità della Nikon F3hp a pellicola con il motore dedicato MD-4. Fu innamoramento a prima vista. Forse i più giovani non conoscono questo modello, e se lo conoscono non ne conoscono le sue qualità. Una scatola nera, robusta, semplice ed efficace, duratura nel tempo e fatta con materiali di eccezione: questa è stata la filosofia della Nikon con il modello professionale F3. Diciamo anche che doveva essere la degna sostituta della Nikon F2 e per questo motivo doveva superarla in leggerezza, velocità d'uso, manovrabilità, ergonomia e doveva avere delle funzioni, per l'epoca, all'altezza di un'elaboratore elettronico, cioè un computer. La Nikon riuscì a centrare il bersaglio, grazie anche al blasone che ella si trascinava come costruttrice di reflex per veri intenditori, blasone che dura ancora oggi, anche se un po appannato dalla Canon. Per venderla, la Nikon recitava sul suo depliant pubblicitario della F3: "La Nikon F3. Eccezionale di regola." Inoltre la pubblicizzava con lo Shuttle Americano, perché in quei tempi la Nikon mandò nello spazio una F3 modificata. Ovviamente il richiamo era forte. In più pubblicizzava le tecnologie di cui si pregiava la macchina come: l'otturatore testato per 150.000 scatti, la microelettronica d'avanguardia, corpo in rame Silumin resistente alla corrosione e, inevitabilmente, le sue doti di maneggevolezza. Diciamo che era paragonabile ai Panzer Leica serie R. La Canon però, con il suo modello F1, le contendeva a testa alta il primato. Altra macchina di gran pregio, forse con qualcosa di elettronico in più, come da tradizione Canon, ma stessa filosofia costruttiva e modulare. Nel frattempo Pentax e Minolta perdevano terreno inspiegabilmente. Ma forse anche perché non avevano intenzione di rincorrere efficacemente Nikon e Canon. Però, ritornando alla mitica F3, questa macchina sprigionava delle caratteristiche sempre all'altezza delle situazioni. Mai mi è capitato un'inceppamento, un guasto, uno scollamento dei materiali o un'accenno di ruggine, anche perché era fatta di rame Silumin ovviamente. Ora, viste le caratteristiche passiamo a un po di numeri. L'otturatore arrivava a 1/2000 di sec. e le tendine si riavvolgevano su un tamburo rotante ed erano fatte in titanio, necessario per arrivare ai 150.000 scatti minimi garantiti. Aveva un display a cristalli lquidi o LCD, peso di 715 gr, asa 12-6400, alimentazione con due piccole pile all'ossido d'argento da 1,55 volt o una pila al litio da 3 volt, 22 vetrini di messa a fuoco intercambialbili, 5 mirini intercambiabili, tempo meccanico 1/60 di sec. anche con batteria esaurita, circuito TTL, sincro X 1/80 di sec., automatismo a priorità dei diaframmi, doppie esposizioni, staratura intenzionale dell'esposizione, mirino con visione al 100%, possibilità di accoppiamento con motore MD-4 e 3,8 fotogrammi al secondo con un peso di 450 gr. Queste ed altre caratteristiche facevano decollare questo modello nelle più alte preferenze dei fotografi del 1980. La macchina professionale Nikon durerà sul mercato 8 anni, dopo ci che, con l'avvento dell'autofocus e dell'elettronica spinta, Nikon proporrà un'altro mito, la F4s. Di questa però ne parleremo più avanti.

Foto tratte dal depliant pubblicitario originale Nikon F3.












venerdì 26 ottobre 2012

Le Borse fotografiche

Un modello per ogni situazione

Testo di Fabrizio Cimini

Il trasporto della propria attrezzatura fotografica ha necessità di una scelta oculata della Borsa Fotografica. La Borsa però, deve avere delle caratteristiche tali che non solo siano perfette alla protezione della nostra strumentazione, ma anche di facilità di accesso, come la si sente in spalla, gli accessori che offre e ovviamente i materiali con la quale è costruita. Probabilmente molti acquistano quello che trovano nel loro negozio di fiducia, magari portandosi appresso la propria attrezzatura per testare lo spazio di alloggiamento della Borsa. Quindi le marche e i modelli offerti dal commerciante, possono essere quelli che a lui gli offrono più ricavi. Poi ci sono negozianti che ci danno una più ampia scelta perché trattano tutto o quasi. In questo caso il venditore potrebbe si avere una ampia scelta, ma incentrata sui modelli e sulle marche che più si vendono. Esiste poi internet che di sicuro offre una panoramica completa dei prodotti, ma qui non si possono provare. Allora come si può fare per scegliere il modello veramente adatto? La cosa giusta da fare è andare per fiere di fotografia e li sicuramente le troverete tutte e le potrete provare. Una volta che avete il modello, vi accorgerete presto che va bene per molti casi ma non per tutti. Ed ecco che per fare lunghi tragitti la borsa a spalla non è pratica ma ci vuole uno zaino. Successivamente aumentano le necessità,  e allora avanti fino al prossimo acquisto in virtù del fatto che vi serve per un'altro scopo. Facendo così, in poco tempo avrete un carnet di borse che copre ogni situazione. Io per esempio ne ho 6, tutte scelte oculatamente in base alle mie necessità. Non le ho acquistate tutte subito ma con il crescere del mio percorso fotografico.  Vi propongo la mia vicenda.


Il Phototrekker, il mio primo zaino fotografico. Appena uscì questa tipologia di borse della Lowepro, io la acquistai subito ad un prezzo accettabilissimo: si doveva ancora affermare sul mercato italiano e per questo lo lanciarono ad un prezzo ridotto. Ottimi materiali, rinforzato all'interno con una struttura di due lamine di alluminio, cerniere robustissime, spallacci da vero zaino, dorso imbottito e traspirante, interno (grazie ai moduli asportabili) personalizzabile, tasche capienti, idrorepellente e tessuto in robusto cordura erano i suoi punti di forza. Oggi, dopo circa 18 anni, ancora lo uso e si è rivelato con il tempo un buon investimento. Unico difetto di alcuni materiali che si consumano in fretta come le retine interne (nei nuovi modelli hanno corretto il difetto). Questo zaino è stato acquistato quando facevo fotografia naturalistica ed ero costretto a spostamenti sul territorio anche impegnativi. Oggi fanno modelli nuovi, più performanti, ma la struttura di base non è cambiata poi di molto.







Dopo lo zaino uscì dalla Lowepeo un marsupio, il primo di una lunga serie: l'Orion 1 e 2. Lo acquistai subito, non costava molto ed era fatto con i stessi materiali dello zaino. Lo acquistai  perché mi serviva una borsa pratica, immediata nell'uso e leggera. Queste caratteristiche erano necessarie quando iniziai ad andare in montagna con lo zaino da escursionista, in quanto mettere le attrezzature li dentro voleva dire toglierlo e metterlo troppe volte e questo era impossibile. Il marsupio invece mi permetteva di avere le mani libere e mi risparmiava la fatica di togliere ed rimettere lo zaino. In più grazie alla sua praticità, lo usavo, e lo uso ancora oggi, a spalla. Ci entra un corpo reflex con con due obiettivi ed un flash. Nessun difetto.






Il terzo acquisto di pregio fu la Tamrac Super Pro 13. Unica, massiccia, capiente, robustissima, in pratica un carro armato del trasporto di materiale fotografico. All'epoca la presi per sostituire la mia vecchia Reporter, ormai superata e logora. Volevo un prodotto robusto ma allo stesso tempo capiente per la mia ingombrante attrezzatura. Ancora la posseggo, ma per riduzione della mia attrezzatura non la uso più. I difetti sono pochi, il prezzo e il peso eccessivi.



Ora avevo un buon corredo di borse per le mie esigenze, ma mi venne la necessità di integrare il marsupio con uno più capiente perché nel frattempo acquistai un obiettivo abbastanza lungo che non entrava nel mio Orion 2. Acquistai allora un nuovo marsupio Lowepro, l'Off Trail 2. Buon materiale, ben strutturato, doppia funzione per il trasporto, in vita e a spalla, capiente. Lo uso per il reportage con una attrezzatura di due obiettivi, di cui uno lungo, una reflex, un flash e accessori vari. Costo accettabile. I difetti sono quasi inesistenti, ma le due sacchette laterali non sono molto ampie e gli obiettivi con generoso diametro faticano ad entrare. 




Si sa, la vita del fotografo è sempre in fermento. Mi misi allora a fotografare le Città e la vita delle sue persone. Andando per questo in luoghi affollati, ma anche per certi versi pericolosi, mi serviva una borsa che non faceva capire che ero un fotografo. La mia scelta cadde sulla Think Tank mod. Disguise 40. Una borsa appena uscita che assomiglia a quella porta computer e che usano in moltii. La pagai pochissimo perché non era conosciuta tra i fotografi e, come accadde per Lowepro, la lanciarono ad un prezzo basso. I materiali sono ottimi, eccellenti direi, capiente, piena di accessori tra cui un utilissimo porta schede fotografico, spallaccio morbidissimo e generosissimo, copertura antipioggia, cerniere robuste ed effettivamente si passa inosservati. Porta tre obiettivi generosi, una reflex, un flash, una compatta di livello, paraluce per tutti gli obiettivi, accessori vari e la possibilità di poterla portare come uno zaino grazie ad un economico accessorio. Difetti direi pochi, ma uno su tutti: l'apertura superiore si apre al centro e a volte rimane difficile estrarre l'attrezzatura con una discreta velocità. Consigliata vivamente e ripetutamente.




Facendo reportage, mi è nata la necessità di girare a volte con poco peso portando un paio di obiettivi ed una reflex in una borsa pratica e leggera. Mi piaceva l'idea di avere una borsa diversa, non rigida come quelle che avevo: scelsi Domke. La Domke f3 x è fatta di robusto tessuto canvas, molto pratica, morbida e leggera. Ho scelto il colore ruggine perché da meno nell'occhio. Ha una capienza enorme a dispetto della sua dimensione e il peso non supera il Kg. E' stato il mio ultimo acquisto, mi piace il suo senso di aderenza al fianco che è proprio delle borse flosce. I difetti però ci sono. Essendo floscia, è predisposta a chiudersi a V nel centro non appena si toglie la reflex con obiettivo dallo spazio centrale, lascia spazio alla polvere, necessita di una certa pratica nell'uso per inserire e togliere gli obiettivi. Comunque è magnifica se si accettano questi difetti. Consigliata per chi vuole viaggiare rapido e leggero, ed anche con gusto.

  


Come dicevo, le borse vanno acquistate, secondo me, a seconda del tipo di fotografia che si vuole fare. Alla fine averne più di una è normale. Scegliete sempre le migliori che potete permettervi. Provatele prima dell'acquisto ponendo dentro la vostra attrezzatura e se va bene li andrà bene anche dopo. Provatele poi ad indossarle, cambiate spalla e testate la rigidità o la  morbidezza. Se il prezzo vi pare eccessivo dovete anche tenere presente che essa vi seguirà per molti anni a venire e che nel frattempo magari avrete già cambiato due volte automobile come a me è successo.

mercoledì 24 ottobre 2012

Gran Fondo Bicitaly

La gara non competitiva più attesa dai ciclisti italiani

Foto di Fabrizio Cimini

REPORT - 2^ Parte.

Quando arrivarono i primi ciclisti il loro volto aveva una espressione seria, concentrata, e il loro sguardo, increspato dall'evoluzione atletica, era fisso in avanti. A quel punto inizialmente appariva che tutti i corridori potessero avere quello sguardo ghiacciato ed aggressivo che non permette a nessuno di penetrarlo tanta era la tensione. I primi ciclisti "volavano" però ben presto. Poi sono venuti i ciclisti amatori forniti di una ottima tecnica atletica e forma sportiva, con passo veloce ma un pelino inferiore ai primi, ma comunque sempre aggressivo al punto di poter disturbare la vita placida dei primi, ex professionisti con qualche anno sulle spalle e altri meno. Passata la schiera del secondo gruppo, appariva dopo la curva la nutrita schiera dei corridori meno impegnati, ma comunque amanti della forma atletica e dello strumento di lavoro necessario a mantenerla: la bici. Tenaci quanto basta per aver una dignitosissima posizione all'arrivo finale. Dopo il terzo raggruppamento, entrano in scena quelli nostalgici della passeggiata domenicale in bici che, per l'occorrenza, sfoderano una rassicurante tecnica ciclistica e una forma fisica di rispetto e a volte in itinere. Passato il quarto raggruppamento, entra in scena il quinto. Si vedono subito, si riconoscono lontani un miglio, sono scanzonati, in molti casi la forma fisica è un po carente, bici discrete al seguito, cambiate in salita di continuo per tentare di abbassare lo sforzo fisico a scapito di perdere la velocità. Incredibile la loro volontà per andare avanti. Passa poi qualche ambulanza. Infine l'ultimo raggruppamento, il vero corpaccione della lunga cordata di ciclisti, gli ultimi. Qualcuno sosterrà: beati gli ultimi che saranno i primi. Concordo su questo. Le risate di costoro si sentono da dietro la curva, simpaticissimi e con sorrisi sgargianti, forma fisica da passeggino, passo in bici ondulato, scambiate repentine, sudore per i più grassottelli che in questo modo provano a buttar via sovrappeso e solo per questo encomiabili, persone che, a dispetto della loro età, ancora mordono l'asfalto chiedendo rispetto, bici un po anzianotte ma pur sempre valide, mangiatori di miele per avere più energia a disposizione: la ripida salita di Rocca Priora li ha messi a dura prova. Qui ambulanze di rianimazione e moto di appoggio per distribuire l'acqua al volo chiudevano la fila. In fondo però tutti e dico tutti, hanno regalato emozioni, hanno donato la loro simpatia, hanno dilapidato energia per poter dire il giorno dopo "li c'ero anche io". Per molti forse tutto questo non ha significato, ma per i ciclisti si perché, fino all'ultimo che è arrivato, il loro diverrà non un  semplice ricordo, ma storia. E solo per questo scusate se è poco.



























domenica 21 ottobre 2012

Gran Fondo Bicitaly
La gara non competitiva più attesa dai ciclisti italiani 
Foto di Fabrizio Cimini

REPORT - 1^ Parte.

Come ogni anno la gara non competitiva per i ciclisti italiani si rinnova con maggior vigore e accresciuto numero di partecipanti. Quest'anno, nel 2012,  erano quasi 6000. C'erano ciclisti d'eccezione, come il famoso Miguel Indurain, ma anche atleti come il nostro Alex Zanardi. Molti ex professionisti, ma anche agguerriti ciclisti amatoriali di gran pregio, hanno dato vita a questa kermesse sportiva che si è snodata per circa 200 Km sul territorio laziale. Visti in fila è stato un cordone infinito tanti erano, ma la cosa che più che ha colpito è stata la voglia e lo spirito dello stare insieme, per dire che "anche io c'ero". Fatica, sudore e muscoli tesi: questi non se li ha risparmiati nessuno. Eppure la gioia non è venuta meno. Non si sono fatti mancare, però, nulla. Televisione, fotografie, macchine di appoggio, organizzazione di assistenza e, per i meno allenati, un percorso più corto di circa 100 Km. Infine il tifo delle persone a bordo strada, incoraggiamenti, saluti e sorrisi hanno dato quel tocco magico che si riserva di solito alle cose di pregio. Inoltre si evidenzia che i partecipanti erano di tutti i tipi, donne e uomini, italiani e non italiani, giovani e meno giovani, con bici da corsa ma anche con cicli diversi, come quello futurista usato dal già citato Zanardi. A ben vedere la risonanza mediatica avuta da questa iniziativa, lascia presupporre che la prossima edizione 2013 i partecipanti possano sforare la fatidica cifra dei 6500 e scusate se è poco.

Per quanto riguarda la fotografia, informo che è la mia prima esperienza in questo sport. Quindi non si conoscevano le difficoltà operative, non si conoscevano le dinamiche del genere sportivo, non si conoscevano le tempistiche e ne il metodo di ripresa. Sono rimasto colpito di quanta tecnica serva per fotografare i ciclisti in maniera pressoché perfetta. Dunque, ho realizzato 800 scatti, tutti fatti dalla stessa porzione di strada cui io mi trovavo. Moltissime foto sono riuscite male per varie cause quali: mosso troppo evidente, mancanza di messa a fuoco da imputare al sistema autofocus, micromosso e inquadratura carente. Le ottiche usate sono state il 24/105 e il 135 prevalentemente. Iso usato: 400. Uso del flash con una riduzione di -1 ev. Scatto continuo a priorità dei tempi, lettura multizona e spot per letture a sostituzione. In molti casi si è lavorato in totale controllo manuale della macchina, ma mai con autofocus disinserito. Non mi interessava fotografare i fotografi con una tecnica atta a vendere fotografie ai medesimi. Mi interessava invece realizzare immagini ben connotate secondo il mio metodo e stile fotografico per evidenziare lo sforzo, la tenacia, il ritratto in movimento e la dinamica dello sport. In questa prima parte di foto postate, esse sono il risultato di una attenta analisi dell'evolversi della gara sotto l'aspetto poc'anzi descritto, però drammatizzato in modo di mettere in evidenza le capacità e le evoluzioni degli atleti. 


















mercoledì 17 ottobre 2012

Canon eos 5D Mark II

Andiamo verso la sua fine, regina incontrastata nella gamma Canon reflex fino ad oggi. 

Di Fabrizio Cimini

La Canon ha deciso di sostituirla con la più performante Mark III e dalla nuova e più simile 6D. Le macchine prese in questione sono tutte full frame. Hanno dei sensori che si aggirano intorno ai 22 Mpixel. Hanno caratteristiche similari quindi, ma i prezzi ovviamente no.  Vediamo allora se conviene veramente acquistare il nuovo e tralasciare il vecchio. Nel campo dell'informatica, tutto diviene vecchio in un batter di ciglia. Le prestazioni tecnologiche vengono superate di continuo in una corsa frenetica che sembra non aver mai fine. Le reflex subiscono lo stesso andamento, la loro tecnologia non si matura, si cambia quando ancora è giovane affermando che è vecchia. Forse apparirò un po nostalgico, maaa... con la pellicola tutto ciò non accadeva, le macchine rimanevano in produzione per anni e anni e il loro valore come usate manteneva una certa quotazione e di più non svalutavano. Diciamo che avevano un mercato con prezzi dell'usato consolidati nell'immaginario collettivo e di questo ne beneficiavano tutti, venditori ed acquirenti. Oggi Canon, ma anche altre marche ovviamente, sfodera un sua nuova perla, la 5D Mark III che ha pochi più pixel della "vecchia Mark II", gli hanno dato un sistema af più veloce, mirino al 100%, raffica più veloce, doppia scheda di memoria, una piccola riduzione del rumore alle alte sensibilità, corpo più massiccio e più pesante, qualche miglioria al video e all'audio... Insomma, gli hanno donato qualche ritocco tecnologico, rifatto il design e, era ovvio, un sostanzioso aumento sul prezzo di listino che ora passa dai 2.500,00 € della 5D Mk II ai 3.500,00 € della nuova. Attenzione però, questi sono prezzi al momento del lancio, perché nel frattempo si sono stabilizzati i prezzi della Mk III intorno ai 3.000,00 € e per la Mk II, visto la fine produzione, ai 1.600,00 €, praticamente quasi la metà. Nel frattempo però, da Canon, una nuova chicca per, bontà loro, abbattere i costi del full frame: hanno sviluppato la 6D. Corpo più leggero e più amatoriale, sensore intorno ai 20 Mpixel, sistema af ereditato dalla Mk II, raffica tipo Mk II, scheda SD, mirino apparentemente ereditato dalla Mk II, qualche gadget aggiuntivo e prezzo economico: 2.100,00 €. Praticamente una 5D MkII camuffata ma impoverita nella qualità dei materiali. Allora, la strategia industriale Canon cosa ci propone? Pagare di più per avere quasi le stesse cose, cioè con qualche ritocchino qua e là per le due nuove full frame? La "vecchia 5D Mk II" chi la trova nuova e la acquista, secondo me,  fa un'affare. E' attualissima, affidabile, non molto pesante e quindi discreta, di gran qualità sia sotto l'aspetto costruttivo, ma anche tecnologico, costa meno della nuova piccola full frame 6D e soprattutto della 5D Mk III. Se poi si aggiunge che con lo stesso prezzo ci si prende una 7D con sensore di formato ridotto 1,6X, si capisce che è un'affare. Intendiamoci, non che le nuove full frame non vadano bene, anzi, vanno ottimamente bene e anche di più, ma il prezzo non giustifica il cambio, è evidente. Però ognuno di noi la vede in modo differente, perché, nella dottrina del consumatore vige la regola che recita il solito sermone: il nuovo prodotto scalza il vecchio perché sicuramente è sempre migliore. Nel vecchio modello, fino a qualche giorno fà, si sosteneva che era il migliore, poi, quando esce il nuovo modello, per giustificare il cambio e per adeguare la tecnologia, si vedono  e si evidenziano esponenzialmente i difetti e le lacune del vecchio, fino a farlo apparire obsoleto e senescente. Ad esempio, le riviste accentuano il fatto (succede sempre così quando il nuovo scalza il vecchio) che la 5D Mk II ha un sistema af e una cadenza di scatto a raffica penosi, ma attenzione, ci si accorge di tale limitazione solo se si fanno fotografie dove è necessaria la velocità di esecuzione della macchina. Mi spiego. La macchina non può essere usata nell'inseguimento del soggetto perché solo il punto af centrale è quello più performante, mentre quelli che gli sono intorno, 8 per l'esattezza, non sono all'altezza. Chi fa fotografie di azione con questa reflex sa di cosa io stia parlando. Anche la raffica è penosa con soli 3,9 fotogrammi al secondo. All'inverso, se si fa fotografia di reportage, anche dinamico, architettura e paesaggio, cerimonie e altri generi che non richiedono la risposta all'azione, diciamo che la 5d Mk II diviene superlativa e micidiale nei risultati qualitativi dell'immagine. Regge ottimamente fino a 3.200 iso dove il rumore è si evidente, ma contenuto. Badate, ho detto 3.200 iso e non 400. Quante fotografie voi scattate a queste sensibilità? Il sistema esposimetrico poi è ottimo. Per concludere, Canon sembra abbia preso una strada tortuosa, perché con 3.500,00 € poteva offrire qualcosina in più ai suoi consumatori che, avendo la 5D Mk II faticano a vedere la differenza e se la vedono è poco più che marginale, specialmente se non la usano. Allora molti, visto anche il prezzo, tentennano per un cambio. Credo, per terminare, che il prezzo della nuova 5D Mk III sia destinato a scendere, perché non leggo da nessuna parte che Canon stia ripetendo il successo di vendita della 5D Mk II e neanche della famosa 5D Mk I, cioè la capostipide della fortunata serie. Comunque, chi ha deciso per l'acquisto della nuova Canon eos 5D Mk III dico che fa bene perché è una grande macchina, ma chi ancora non ha deciso gli consiglio di aspettare il modello Mk IV (circa 2 anni) che probabilmente sarà una sostituta di vero pregio della Mk II. Daccordo, alcuni diranno campacavallo, ma nell'attesa dei due anni vi godrete effettivamente il vostro acquisto, la 5D Mk II. 
Saluti. 

sabato 13 ottobre 2012

Ferro

Linee, forme e colori

Fotografie di Fabrizio Cimini

Velletri (RM), sono capitato da un rivenditore di ferro per caso. A volte anche il caso aiuta. Ho visto la sua area di lavoro con accatastati diligentemente i materiali ferrosi: tralicci, grate, tubi, ecc. La mia visione è stata rapita dalla forma. Subito ho domandato al venditore se potevo fotografare il suo materiale. Ha inizialmente tentennato, voleva quasi dirmi: no, è pericoloso stare nell'area e poi è riservata ai soli addetti, sa è un fatto di sicurezza e di assicurazione. Poteva dirlo, chi ero io se non un piantagrane? Risolutivo l'intervento di un mio amico che mi accompagnava che lo rassicurò. A quel punto mi disse di si ma aggiunse anche l'orario e il giorno nel quale io dovevo essere là. Mi disse alle ore 15,00. Dissi bene, ok e gli detti una stretta di mano che sembrava come avessi firmato un contratto: queste persone sono pratiche e abituate agli accordi verbali, alle strette di mano e alla garanzia della faccia. Mi trovai la il giorno concordato in perfetto orario. Ma... era arrivato un camion che doveva scaricare materiale e che nella mattinata non aveva fatto in tempo a portargli. Aspettati diligentemente. Alle ore 15,45 circa mi misi a fotografare con un rigoroso cavalletto. La luce, in inverno, è ridotta nelle ore pomeridiane e li lo era anche di più perché schermata da un soffitto in laminato che ne impediva il diffondersi. Me la feci bastare. Lavorai sempre a diaframmi chiusi per la massima profondità di campo e a bassa sensibilità ISO per avere un ridotto rumore di fondo. Questo mi comportò ad avere tempi lunghissimi. La mia Canon scattava con sicurezza i suoi fotogrammi digitali e fu li che mi guadagnai il rispetto del venditore che, curioso, non aveva mai fatto caso che il suo materiale potesse avere dei colori bellissimi e delle forme fantastiche. Gli regalai poi i mie scatti migliori e ne fu felicissimo. Il patto della stretta di mano era stato onorato da entrambi e per entrambi ci fu un guadagno.














































martedì 9 ottobre 2012

Lupo di Mare

Quando uno sguardo tenta di spiegare una vita passata tra le onde

Foto di Fabrizio Cimini

Raccontare con delle parole una vita trascorsa a contatto con il mare ci vuole del tempo. Ma raccontarla con lo sguardo, sicuramente meno. Con questa espressione il pescatore si spiega, comunica, ci parla. Le parole che poi dice prendono quasi un aspetto di contorno, di guarnitura. Mi piace lo scintillio degli occhi con l'espressione del viso solcato dalle rughe e lo fotografo. Qualche scatto e poi... tutto cambia e lo sguardo riprende il suo normale aspetto, perfettamente plasmato dai tempi moderni. 
Fotografia scattata a Napoli durante una peregrinazione fotografica con alcuni soci del Club fotografico FCCR di Albano Laziale. Mi avvicinai al soggetto con molta lealtà dei miei intenti tenendo ben evidente la macchina fotografica, in modo che lui percepisse che io ero un fotografo. A quel punto, quando ero vicino a lui gli parlai, non ricordo cosa gli dissi, ma mi ricordo che mi sorrise, cioè aveva accettato l'idea che io potessi stare vicino a lui e probabilmente anche chiedergli di posare qualche istante per me. Così fu. Scattai qualche foto, continuando a parlargli dei suoi ricordi, capivo oramai cosa io volevo tirare fuori dalla sua espressione: uno sguardo intenso e intriso dei ricordi dei suoi tempi di quando viveva il mare a pieno ritmo, come attore principale. Rimasi colpito dallo sguardo mentre raccontava qualche storia di mare. Ad un certo punto, si avvicinò un mio amico   per ascoltare le parole del vecchio lupo, ma gli costò due sigarette per essersi avvicinato, io non gli le ho date invece, non potevo, non fumo. Credo che anche lui fece qualche scatto, ma oramai la luce che vedete nei suoi occhi non c'era più. Lo ringraziai dandogli la mano e quasi un'abbraccio. Questo contatto lo ripagò perché per qualche istante si sentì importante e di nuovo attore principale a bordo di una barca di un mare che fù.   



sabato 6 ottobre 2012

I grafismi di Trastevere

Quando la fotografia è sinonimo di ricerca iconografica


Fotografie di Fabrizio Cimini


Mi vedo alla ricerca dello scatto in una mattina uguale a tante altre. Mi ritrovo nella famosa Trastevere, il cuore di Roma, dove la storia ha lasciato segni indelebili. Si ricerca una "comunicazione" tra i tempi di oggi e quelli di ieri. Difficile trovare luoghi incontaminati e di bellezza storica, quasi tutti segnati dai grafismi moderni che comunicano a senso stretto tra essi, lasciando fuori dalla loro cerchia quelli di una volta che incidono sempre più lentamente nella mente delle persone. La firma stilizzata e grafica, unita a qualche bel disegno espressivo, è imperante non tanto sui muri, anche essi però ben bene griffati, ma sui portoni che prendono quasi la forma di un'opera stilistica a inneggiare la presenza dell'autore. Di solito, nei bassi profili d'autore, si riscrive sopra lo scritto, atto a comunicare non la sola presenza, ma anche la preponderanza del peso di chi firma: in questo la definisco prevaricazione di forma sciatta. Sui portoni di Trastevere questo quasi mai sembra succedere, prevale il dialogo e il rispetto tra i firmatari e questo, paradossalmente prende la forma di un'arte grafica sub-cittadina. Allego a tal proposito le mie fotografie. 
Buona visione.